Gaya Nuño (ed. italiana: La orripilante storia del teschio di Goya, Skira, Milano, 2010) nel 1966 scrisse questo libricino straordinario raccontandoci l'altrettanto straordinaria ed incredibile avventura di resti mortali del grande pittore spagnolo Francisco Goya y Lucientes. Una storia che mi ha talmente affascinato da convincermi a pubblicare un piccolo riassunto degli eventi.
Entrammo nella chiesa.
Piccola, minuscola, ma che vale una Cattedrale. Cattedrale, che dico? Nessuna
altra al mondo gode di un simile glorioso rivestimento di colore, né di una
cupola così sorprendente, con tutte quelle piccole creature, inconsapevoli e
osservatrici, disinteressate e attente, alcune bellissime e altre sinistre, che
Goya ha raffigurato intorno al miracolo di sant’Antonio a Lisbona.
Decorò la minuscola e
popolare cattedrale concedendo uno spazio minimo al santo e molto più agli
spettatori.
Liberissima
eterogeneità, ricordi del Correggio e della Parma conosciuta negli anni
giovanili ma anche presagi profetici di pittura successiva, Delacroix, Nolde,
Rouault finanche a Bacon.
Esattamente sotto la
cupola una lapide dichiara esser lì la tomba di Goya, quella definitiva; almeno
così crediamo. Li riposano le ossa del tremendo pittore, creatore di tanta
meraviglia.
Ma non lo scheletro
completo, manca il teschio!
Perché il capriccio
goyesco più spaventoso è quello che, postumo, ebbe per protagonista la sua
testa.
Curioso che raramente nella storia dell’arte si è visto un
uomo tanto versato allo stregonesco e al demoniaco come Goya. Colpito da una
grave malattia la cui natura non fu mai chiarita, forse una sorta di emiplegia
grave, a causa della quale perse quasi completamente l’udito.
Sordo e solitario, solitudine che genera tenebrismo, genera
mostri. Come il sonno della ragione che genera mostri.
Celebri poi i sarcastici e burleschi Capricci e altre
incisioni che chiamò Proverbi e Follie.
Immaginazione senza riposo che raggiunge il suo momento più
critico con la decorazione della sua casa di campagna vicino al Manzanarre, le pitture nere della
Quinta del Sordo, nere per la tenebrosa dominanza di creature maligne e
perverse, forze che si ritorceranno contro quella stessa testa che le aveva
create.
L’anno della sua morte 1828, nella notte tra il 15 ed il 16
aprile a Bordeaux.
Sepolto al cimitero di Chartreuse rimase nell’oblio sino al
1878 quando il console spagnolo di Bordeaux, rimasto vedovo, seppellì la moglie
nello stesso cimitero e vide la tomba dell’artista in stato di rovina ed
abbandono, si interessò alla cosa.
Anni dopo riuscì finalmente a convincere lo stato ad
interessarvisi, il pittore meritava altro, una tomba in patria, magari il Sacramental a S. Isidro. Si procedette
ad aprire la tomba e…
Aperta la tomba trovammo in una cassa di zinco le ossa del
pittore “ad eccezione della testa che mancava completamente”
“Poiché non sembrava che la cassa fosse mai stata aperta,
fummo indotti a credere che Goya fosse stato sepolto già decapitato, forse da
un medico o da qualche folle amatore di rarità”.
La traslazione dei resti andò per le lunghe anche a causa
dello stato spagnolo stesso che si rifiutò di pagare le spese dell’operazione
che ammontavano tra l’altro alla misera somma di 1400 franchi.
Solo l’11 Maggio 1900 finalmente le ossa, arrivate in
Spagna, furono deposte a S.Isidro.
Opportunissimo fu il poi il progetto di traslarle nuovamente
nel luogo in cui, seppur senza testa, tuttora risiedono: sotto la cupola della
florida. Era il 29 novembre 1919.
E la testa?
Nel 1928 si celebrò il centenario della morte e il 17 aprile
Don Hilario Gimeno diede notizia, tra lo stupore degli astanti, di aver trovato
presso un antiquario di Saragoza un quadro d olio raffigurante lo smarrito
teschio.
“Cranio de
Goya, pintado por Fierros” 1849.
Perché lo ebbe e
come? Il mistero si infittisce dunque.
Si crede che il teschio del genio ebbe una orripilante e
mirabile avventura, proprio perché di un genio. Ma andiamo con ordine.
Una notte, forse piovosa, di certo tenebrosa, tre uomini si
addentrano ne cimitero per compiere un furto inusuale: rubare il teschio del
genio.
Ma perché: per avventura, per arte e per….scienza…
Ommeglio para scienza, una teoria conosciuta come
“frenologia”, procedimento che teorizzava di poter diagnosticare virtù,
difetti, propensioni e qualità tramite osservazione e la misurazione della
scatola cranica, divisa a tal scopo in tanti scompartimenti immaginari.
Zona 26, dove si annida la facoltà intellettiva della
prospettiva del colore, zona 18, che contiene la “meravigliosità”; zona 19
l’immaginazione, zona 20 lo spirito di satira.
Qualità che Goya aveva in abbondanza; quale cranio migliore
per conoscere le dimensioni perfette di tali zone qualitative del cervello.
Fandonie. E’ però ben certo che nel periodo in cui venne decapitato il cadavere
del glorioso pittore la gente ci credeva, e a occhi chiusi!
Fu dunque una decapitazione per la scienza! Un dottore, un
frenologo lo studio, ma fu il suo compagno d’avventura, un pittore a conservare
la reliquia, forse per legge di natura, oggetto d’ispirazione massima. Dionisio
Ferrios lo tenne tra gli oggetti più cari (anche se va detto che non lo aiutò
molto nell’ispirazione, lo comprova la qualità, scadente ma soprattutto senza
alcuna ispirazione appunto, della sua dimenticata opera pittorica.
Dunque il cranio dov’è ora.
E qui arriviamo alla parte più dolorosa. Il cranio è
distrutto.
Fu il figlio del pittore-tombarolo a compiere, pur
ignaramente, tale misfatto.
Studente di medicina, dopo la morte del padre, ritrovò
l’oggetto, senza sapere nulla della provenienza. Poteva essere il cranio di un
semplice contadino, e da studente te di medicina, avere un cranio tutto per
se..beh…è un bel lusso. Nulla di male se non fosse stato per la brillante idea
(ah…la gioventù) di sperimentare a casa con i colleghi la “forza di
germinazione”
Riempirono il cranio di ceci inumiditi ed aspettarono 24 ore
per vedere l’effetto. L’effetto fu quello della appunto “forza di
germinazione”, un azione naturale piuttosto banale. I ceci aumentarono di
consistenza e…accadde il peggio…il teschio esplose. Esperimento riuscito. Le
ossa furono divise tra gli astanti
“Non è perduto il cranio di Goya, ma si è transustanziato in
tutti i cervelli come in un mortaio stregonesco” così scrisse Ramon Gomez de la Serna a riguardo, col suo
stile pomposo ma efficace.
Degna fine di una testa immaginaria, oscura, geniale e terribile.
Fu lui d’altronde, soltanto lui, nell’arte, il più grande domatore di streghe,
puttane ed riesumatori di cadaveri. Biografia che si tramuta in necrologio;
teschio rubato per una scienza immaginaria, più oscura delle sue oscure
pitture, teschio distrutto per un banale giuoco; come donò e distribuì in vita,
colori e linee infuocati di passione tenebrosa, così donò da morto, le “minutaglie
della sua poderosa ossatura”.
In fondo, scrive Gaya Nuno, pochi di noi possono pretendere
che tre fanatici, soli di notte in un cimitero romantico, ci rubino la testa.
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